Lettera di un detenuto del G20 del giorno 14.08.2017,
dal carcere di Billwerder ad Amburgo.
È passato quasi un mese e mezzo da quando sono stato arrestato durante il dodicesimo vertice del G20, ad Amburgo, in una città assediata e presa in ostaggio dalle forze dell’ordine, ma che ha anche visto nascere per l’occasione una contestazione locale e popolare molto importante.
Decine di migliaia di persone, se non di più, affluendo da tutta l’Europa, se non da più lontano, si sono incontrate, organizzate e si sono trovate insieme a discutere, sfilare per più giorni in un grande slancio di solidarietà e coscienti di poter subire in ogni momento la violenza e la repressione della polizia. Per l’occasione è stato costruito, addirittura, un immenso tribunale di polizia, in un prefabbricato, allo scopo di sanzionare nel più breve tempo possibile ogni tipo di contestazione contro questo vertice internazionale.
Il mio arresto, come quello di molti/e compagni/e, si basa solo sulla sacrosanta parola della polizia, quella di una brigata addestrata per infiltrarsi, osservare e pedinare « le sue prede »(quarantacinque minuti nel mio caso, per un presupposto lancio di oggetti..), finché una volta isolate, trovano la possibilità di arrestarle mandando colleghi che intervengono velocemente, violentemente, senza lasciare nessuna scappatoia.
Eccomi quindi rinchiuso in questo luogo primordiale per il buon funzionamento di un ordine sociale globale, utilizzato come strumento di controllo e di gestione della miseria, essenziale per il mantenimento della loro « pace sociale ». Il carcere agisce come spada di Damocle al di sopra di ogni individuo cosicché sia pietrificato davanti all’idea di trasgredire le regole e al diktat di un ordine stabilito « metro,lavoro,consuma,dormi », al quale nessun dominato dovrebbe sfuggire per così essere alienato dalla propria vita, sempre in orario, senza mai battere ciglio. Così anche durante il secondo turno delle presidenziali, nel corso delle quali si aspettavano da noi che stessimo « En Marche »1 oppure che morissimo, preferibilmente in maniera lenta e silenziosa.
Il diritto non avendo vocazione ad assicurare il bene generale e nemmeno a essere neutro è l’espressione di una dominazione sempre più aggressiva, istituita dai potenti per garantire loro proprietà e sicurezza e quindi paralizzare, sanzionare, emarginare chi non vede le cose allo stesso modo o chi non si piega.
Al di là dei casi di militanti/e detenuti/e, in genere abbastanza sostenuti/e e messi/e in primo piano in queste situazioni, perdurano anche e sopratutto i casi di uomini e donne abbandonati/e alla brutalità e alla crudeltà della reclusione carceraria.
Qui il lavoro è retribuito un euro all’ora, di cui la metà è percepibile solo una volta liberati/e. Nella mia sezione i detenuti in detenzione provvisoria o per pene brevi (dai sei mesi ai quattro anni)sono principalmente rinchiusi per un motivo solo: la loro condizione e origine sociale.
A parte il personale, pochissimi provengono dal paese ospite, tutti sono stranieri, rifugiati e/o precari, poveri, indeboliti dalla vita. Il loro crimine: non sottomettersi alle « loro » regole del gioco, nella maggioranza dei casi rivolgendosi alla vendita di stupefacenti o commettendo scippi, truffe,in solitaria o in gruppi organizzati a diversi livelli.
La reclusione è un pilastro primordiale di questo sistema e non si può criticarla senza attaccare la società che la produce. Il carcere, non funzionando in autarchia, è il tassello perfetto di una società basata sullo sfruttamento, la dominazione e la divisione sotto svariate forme.
« Il lavoro e la prigione sono due pilastri essenziali del controllo sociale, il lavoro essendo la migliore delle polizie e il reinserimento, un ricatto permanente. »
Un pensiero per i compagni/e italiani/e colpiti/e da un’ennesima ondata repressiva, in particolare agli imputati nell’indagine sull' »ordigno esplosivo » innescato davanti a una libreria legata a Casapound. L’estrema destra così utile e complementare agli Stati che si nutrono delle sue aspirazioni, dei suoi deliri securitari e dell’incessante stigma dello « straniero » deve essere affrontata con una risposta organizzata, popolare e offensiva.
Un pensiero anche ai compagni che a settembre affronteranno il processo relativo all’episodio avvenuto il diciotto maggio dello scorso anno in cui una macchina degli sbirri è stata bruciata, a Parigi, durante il movimento sociale contro la « loi travail ». Molte persone sono passate dal carcere e tuttora due sono ancora dentro. Forza a loro!
Ringraziamenti ai compagni di qui che a volte organizzano presidi davanti al nostro carcere, iniziative molto apprezzate, che spezzano la routine e lo stato di letargia al quale siamo costretti. Ringraziamenti anche a tutti/e quelli/e che, da vicino o da lontano, ci sostengono.
Per i Bro’, 161, MFC, OVBT, jeunes sauvages, quelli che BLF e altri/e amic(he)i…
Compagni, forza !
Liberiamo i/le detenuti/e del G20 e tutti/e gli/le altri/e!
Non siamo soli!
Un detenuto tra tanti altri,
Carcere di Billwerder, Amburgo.
14.08.2017
[Traduzione pubblicata su Indymedia Nantes]