Dopo aver compito la Rivoluzione d’Ottobre la classe operaia aveva sperato di realizzare la propria emancipazione. Ma il risultato é stato un asservimento ancora maggiore della personalità umana. Il potere della monarchia, fondato sui poliziotti e sui gendarmi, é passato nelle mani degli usurpatori comunisti, i quali, in luogo di dare la libertà al popolo, hanno installato il costante terrore di cadere nelle camere di tortura della Ceka, che superano di gran lunga per orrore l’amministrazione poliziesca del regime zarista. Le baionette, i proiettori e gli ordini perentori degli opric’niki della Ceka: ecco cosa i lavoratori russi hanno ottenuto dopo tante battaglie e tante sofferenze. Il glorioso emblema dello stato degli operai – la falce e il martello – é stato in realtà sostituito dai comunisti e dal loro potere con la baionetta e le finestre a sbarre delle celle, allo scopo di salvaguardare la vita tranquilla e oziosa della nuova burocrazia dei commissari e dei funzionari comunisti.
Ma la cosa più immorale e criminale é il servaggio morale instaurato dai comunisti: essi hanno osato violentare persino la coscienza interiore degli operai, costringendoli a pensare in maniera comunista. Con l’aiuto dei sindacati burocratizzati hanno legato gli operai al loro posto di lavoro, e il lavoro é così diventato non una gioia ma una nuova forma di schiavitù. Alle proteste dei contadini, che si esprimono nelle spontanee rivolte, e a quelle degli operai, le cui condizioni di vita li inducono a scioperare, essi rispondono con le esecuzioni in massa e con lo spargimento di sangue superando in ciò persino i generali zaristi.
La Russia operaia, la prima ad avere innalzato la rossa bandiera dell’emancipazione del lavoro, é affogata nel sangue dei martiri caduti per la gloria del dominio comunista. In questo mare di sangue i comunisti stanno affogando tutte le grandi e luminose parole d’ordine della rivoluzione operaia. Il quadro é diventato sempre più netto, e adesso é chiaro che il Partito comunista russo non é affatto il difensore dei lavoratori come spesso pretende di essere. Gli interessi del popolo che lavora gli sono estranei. Ottenuto il potere, teme solo di perderlo, e impiega pertanto ogni mezzo possibile: le lusinghe, l’inganno, la violenza, l’assassinio, le vendette sulle famiglie di coloro che si ribellano.
La lunga pazienza dei lavoratori si é esaurita. Da ogni parte il paese arde delle fiamme dell’insurrezione, in una lotta contro l’oppressione e la violenza. Sono dilagati gli scioperi degli operai, ma gli agenti della Okhrana bolscevica sono rimasti inattivi e hanno preso ogni misura per prevenire e reprimere la inevitabile terza rivoluzione. Ma essa, alfine, é giunta, e viene compiuta dalle mani degli stessi operai. I generali comunisti vedono chiaramente che é il popolo a essere insorto, ormai convinto che le idee del socialismo sono state tradite. Perciò, tremanti per le loro vite, e ben consapevoli che non vi é scampo dall’ira dei lavoratori, essi tentano ancora, con l’aiuto dei loro opric’niki, di terrorizzare i ribelli con la prigione, i plotoni di esecuzione e altre atrocità. Ma la vita sotto il giogo del dittatore comunista é divenuta più terribile della morte.
Il popolo lavoratore in rivolta sa che non vi sono vie di mezzo nella lotta contro i comunisti e la schiavitù che essi hanno instaurata. Bisogna andare sino in fondo. Essi vogliono apparire disposti a fare concessioni: nella provincia di Pietrogrado i blocchi stradali sono stati aboliti e dieci milioni di rubli sono stati destinati all’acquisto di viveri all’estero. Ma non bisogna farsi ingannare, poiché dietro questo inganno si nasconde la mano di ferro del padrone, del dittatore, che esige di essere ripagato cento volte per le sue concesioni, una volta ristabilita la calma.
No! Non può esservi via di mezzo. O la vittoria o la morte. L’esempio viene dato da Kronstadt la rossa, spauracchio dei controrivoluzionari di destra e di sinistra. Qui é stato intrapreso il nuovo passo in avanti rivoluzionario. Qui si é elevata la bandiera contro la oramai triennale violenza del governo comunista, che ha respinto nell’ombra trecento anni di giogo monarchico. Qui, a Kronstadt, é stata posta la prima pietra della terza rivoluzione, che dovrà rompere le ultime catene delle masse lavoratrici e aprire un’ampia e nuova via alla creatività socialista.
Questa nuova rivoluzione solleverà altresì le masse lavoratrici d’oriente e d’occidente, offrendo un esempio della nuova costruzione del socialismo, che é l’opposto alla “creatività” burocratica dei comunisti. Le masse lavoratrici straniere vedranno con i loro occhi che tutti ciò che é stato creato qui sinora con la volontà degli operai e dei contadini non é stato il socialismo. Senza un colpo di fucile, senza una goccia di sangue, il primo passo é stato compiuto. Gli operai non hanno bisogno di versare sangue, se non per la propria autodifesa, Malgrado tutte le azioni deplorevoli dei comunisti, noi abbiamo abbastanza autocontrollo da limitarci soltanto a isolarli dalla vita pubblica, in modo da impedire che la loro agitzione subdola e falsa possa ostacolare la nostra opera rivoluzionaria.
Gli operai e i contadini avanzano compatti, lasciando alle proprie spalle l’Assemblea costituente, col suo regime borghese e la dittatura del Partito comunsita, con la sua Ceka e il suo capitalismo di Stato, il cui cappio già circonda la gola delle masse lavoratrici e minaccia di strangolarle. Il rivolgimento odierno dà infine agli operai la possibilità di eleggere liberamente i propri soviet, che agiranno al di fuori di ogni benché minima pressione dei partiti, e di ricostruire le organizzazioni sindacali burocratizzate come libere associazioni di operai, contadini e lavoratori intellettuali. Finalmante il bastone poliziesco dell’autocrazia comunista é stato spezzato.
« Za chto my boremsia », Izvestiia Vremennogo Revoliutsionnogo Komiteta, , in Pravda o Kronstate, 8 marzo 1921, pp. 82-84. Traduzione italiana in Paul Avrich, Kronstadt 1921, Mondandori, Milano, 1971, pp. 27-29.