Quando arrivi sulla cima del pendio, c’è l’Orsa maggiore dritto sopra la tua testa. E poi, in basso, vedi le luci di Issoire, che fanno la guerra alle stelle del cielo. E soprattutto, soprattutto, accanto a te c’è il ripetitore che ti ricorda che non sei venuto/a per recitare delle poesie. Accendi il fuoco…
Nelle prime ore del 22 agosto, abbiamo appiccato il fuoco, lassù sulla collina. A Moidias, due ripetitori che servono la rete telefonica da Issore a Brioude, oltre che la diffusione di numerose frequenze radio, sono bruciati. Non potendo spegnere le luci della città, abbiamo almeno staccato gli smartphone.
Perché questo mondo è troppo stretto, perché esso mira alla normalizzazione, al controllo, alla sterilizzazione e alla digitalizzazione di ogni individualità. Perché avevamo voglia di offrirci un respiro, di sentirci vivi/e piuttosto che di soffocare. È vero che questo desiderio di distruzione avrebbe potuto saziarsi con l‘attacco di un locale della Croce Rossa, di un allevamento o di un CPT. Attacchiamo per non essere più un/a architetto/a in più delle strutture del potere. Attaccare per il piacere immediato e non per degli ipotetici futuri radiosi.
Come hanno già sottolineato altre rivendicazioni, la tecnologia – che ci tiene al laccio e colonizza i nostri immaginari – è uno dei pilastri di questa civilizzazione. Se siamo d’accordo con questa constatazione, non ci soddisfiamo di una semplice condivisione di idee. Abbiamo allora cercato dei punti sensibili sui quali agire. Bruciando dei ripetitori, non miriamo soltanto ad infliggere il massimo danno ai promotori di protesi tecnologiche. È una maniera di comunicare, di interagire, di civilizzarsi quella che vogliamo sabotare. Per fare uscire dal seminato la routine degli onesti cittadini/e, lavoratori/trici, consumatori/rici, tutte quelle persone che – ricche o povere, giovani o vecchie, super-connesse o tecno-scettiche – contribuiscono allo sviluppo di questa civilizzazione del flusso teso, in cui mandiamo giù in continuazione delle informazioni, in cui si litiga via internet e in cui si scopa via sms. Per immergere quelli che sono dipendenti dallo schermo e dalle cuffie nel silenzio angosciante della mancata connessione, loro che, costruendo e perpetrando questo tipo di rapporto al mondo, sono la garanzia del fatto che esso non corre alcun pericolo.
Ma questo attacco arriva anche da una voglia di mettere in causa il rapporto che abbiamo con la mediazione tecnologica del vivente (umano o non-umano) e la digitalizzazione dell’esistente. Esso ci permette di criticare con gli atti la costruzione di tutte queste norme (sessiste, razziste, omofobe, speciste…) veicolate dal flusso incessante di immagini e di informazioni e che hanno quasi schiacciato le nostre individualità.
Se a ciò aggiungiamo il fatto che numerosi/e compagni/e si ritrovano presi di mira in procedimenti repressivi nei quali questi mezzi di comunicazione diventano, grazie alla collaborazione degli operatori telefonici, strumenti per prendere quelli/e che si rivoltano, ecco un bel mucchio di ragioni per fare un barbecue di ripetitori. Un bel mucchio in cui non figura la prospettiva di aprire una fessura nella normalità perché abbia luogo la rivoluzione sociale. Se questa speranza ci ha un giorno abbracciati, essa è oramai morta nei nostri cuori.
Volevamo che questo attacco entrasse in risonanza con la serie di altri barbecue (di ripetitori, di veicoli o locali di Enedis [filiale di Electricité de France proprietaria della rete elettrica francese; NdT]…), di cui l’estate 2017 ha fatto le spese e di cui condividiamo una buona parte delle critiche e proposte. A questo proposito, ci chiediamo come non entrare in dinamiche competitive. Come farsi ispirare dalle azioni di altri al punto da avere voglia di riprodurle, senza che diventi una sfida a chi ce l’ha più grosso (il ripetitore)?
Ecco un po’ quello che ci ha portati/e a studiare, pianificare e realizzare questo attacco. Quello che ci ha preso dei giorni è stata la definizione degli aspetti pratici del piano (come appiccare il fuoco senza bruciarsi, per esempio), ma anche la condivisione delle poste in gioco, delle specificità, delle voglie e dei limiti di ogni individuo/a che vi ha partecipato. Ci siamo messi/e in gioco e ci siamo dati i mezzi delle nostre voglie, anche se è stato duro fisicamente ed emotivamente. La bellezza di questo processo attraverso il quale abbiamo cercato di coniugare la violenza dell’intento e la benevolenza dell’attenzione, porta tanta soddisfazione quanto la soddisfazione di essere riusciti/e a distruggere quei ripetitori. Non siamo dei/le soldati/esse, è in questi momenti che si concretizzano, si incontrano, si confrontano le nostre individualità. Che facciamo da noi la nostra sintesi fra teoria e pratica. Che ci organizziamo per distruggere i rapporti di potere, per attaccare i dominî che ci modellano e che riproduciamo altrettanto quanto essi strutturano questo mondo.
Abbiamo distrutto questi ripetitori forzando le porte o le reti che li proteggevano e mettendo sui cavi, in posti diversi, dei dispositivi incendiari. Questi erano semplicemente composti di una bottiglia in plastica da un litro e mezzo, riempita di benzina, sulla quale era attaccato con del fil di ferro un bel pezzo di diavolina.
Non vogliamo terminare questo comunicato senza aver espresso la nostra solidarietà con Krem e Kara e con tutti/e quelli/e che attaccano questo mondo senza dimenticare che essi/e possono esserne i meccanismi.
B.A.R.J.O. – Barbecue d’Antennes Relais Joliment Osé
[Svitato – Barbecue di ripetitori osato in maniera carina]
[Traduzione: Anarhija.info]